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Il mio papà razzo
(di Roberto Palmas)

Considero mio padre un mito. Sia affettivamente parlando, così come ogni figlio dovrebbe fare pensando ai propri genitori, sia professionalmente come fotografo. E, non amando troppo un termine che oggi identifica fotografi d’assalto disposti a tutto per rubare uno scatto (quale mio padre non era), ma non volendo del tutto rinnegarlo, mi piace l’idea di giocare con la parola “paparazzo” spezzandola per evocare la sua velocità nello scatto, “papà razzo” appunto.

Sono passati più di 30 anni dalla sua morte avvenuta nel 1977 e mi manca ogni giorno. Vorrei fargli mille domande per ogni foto nuova che scopro, che sia un divo degli anni del boom economico o un barbone ritratto ai bordi della strada poco importa. Vorrei poter imparare da lui tutti i segreti e i trucchi del mestiere. Vorrei sapere il perché di quell’inquadratura, perché quel volto e non quell’altro.

Quando è morto avevo solo 13 anni e fino ad allora ho vissuto molti momenti indimenticabili con lui. Mi portava spesso in giro e per me era sempre una festa, anche solo andare al bar a vederlo giocare a carte. Non vi dico l’emozione di svegliarsi all’alba per andare a caccia con lui. Pur rinnegando oggi tale pratica, non potrò mai non ricordare con rimpianto le infinite sigarette spente nell’attesa di sparare un colpo appostato in macchina nelle saline di Cervia o nascosto in un capanno tra i filari di una vigna del podere di Bondi.

E quando non era caccia era pesca, e allora la scena si spostava a Cesenatico, dove risiedevamo d’estate e di cui conosco ogni angolo sia della terra che del mare. La pesca di sgombri e cefali al largo, l’entrata trionfale in porto alla guida del motoscafo, le nuotate vicino agli scogli del canale per raccogliere le cozze, pure la ricerca dei vermi da esca era per me un’avventura straordinaria.

Anche quando lavorava lo seguivo spesso, scuola permettendo. E allora cambiavano scenari e gesti, ma non la mia curiosità e lo stupore nel vederlo scherzare con il soggetto da immortalare. Sembrava tutto un gioco per lui e lo faceva sembrare a me e io mi divertivo da matti. E tutte le volte mi chiedevo perché usasse quello strano strumento (l’esposimetro) prima di fotografare. Alla sera poi, in camera oscura…

In molti mi chiedono perché non faccia il fotografo anch’io. Forse è semplicemente perché non lo voglio fare, o perché non voglio mettermi in competizione con lui. In realtà ritengo che le mie energie debbano essere spese per far conoscere al maggior numero di persone il suo lavoro, il suo intuito, il suo talento. Per troppi anni c’è stato l’oblio sul suo nome in campo fotografico. Sfogliavo i libri, le riviste specializzate, le enciclopedie e mai un scatto di Giuseppe Palmas, mai una citazione.

Fortunatamente a qualcuno a Cesena, la sua città natale nonchè luogo dove vivo ora, è venuto in mente, un giorno, che sarebbe stato giusto rendere onore all’opera del concittadino dimenticato. E così, dopo due anni di preparazione, nel 1995 ha visto la luce la mostra “Giuseppe Palmas – professione fotoreporter”, una personale con 200 foto divise i 4 sezioni, cinema, musica, sport, cronaca e costume, allestita nel pretigioso Corridoio Lapidario della Biblioteca Malatestiana di Cesena.

E’ stato l’anno zero della riscoperta postuma. L’anno successivo ho allestito il primo sito Internet con una quarantina di scatti e la pubblicazione integrale dell’elenco di tutti i soggetti fotografati (circa 4.500), mossa che ha scatenato gli accessi al sito grazie al lavoro dei motori di ricerca. Piano piano l’ombra dell’oblio è stata spazzata via dal sole della tecnologia e le soddisfazioni si sono susseguite, grazie a numerose mostre, sia personali (compresa quella a New York nel 2003, segnalata anche dal «New York Times») che tematiche (la romana “A Flash of Art Fotografi d'azione a Roma, 1953- 1973” nel 2004) e a felici collaborazioni editoriali (dalla copertina del libro Le ragazze di via Margutta di Giampiero Mughini a Italia 1945-2005 - Le grandi fotografie della nostra storia di Hachette). Da allora iniziative ed esperienze si sono susseguite in gran numero (compresa la collaborazione al documentario su Walter Chiari Meglio esser Chiari). Ultima, in ordine di tempo, la partecipazione – attraverso diverse foto presenti in questo catalogo - il marzo scorso alla mostra “Fashion + Film. The 1960s revisited” al Graduate Center della City University of New York.

La mia missione continua. Tanto è stato fatto e tanto di più rimane ancora da fare. Oggi il sito Internet www.fotopalmas.com è visitato da circa 4.000 persone al giorno. E sono visibili “solo” 7.000 fotografie delle 80.000 dell’archivio per cui il mio lavoro, svolto per lo più durante le ore notturne, non è certo concluso.

Roberto Palmas

 

 

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