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Mio padre, un mito
(di Roberto Palmas)

Cesena, 28 marzo 2008

Considero mio padre un mito. Sia affettivamente parlando, così come ogni figlio dovrebbe fare pensando ai propri genitori, sia professionalmente come fotografo.
Sono passati più di 30 anni dalla sua morte avvenuta nel 1977 e mi manca ogni giorno. Vorrei fargli mille domande per ogni foto nuova che scopro, che sia un divo degli anni del boom economico o un barbone ritratto ai bordi della strada poco importa. Vorrei poter imparare da lui tutti i segreti e i trucchi del mestiere. Vorrei sapere il perché di quell’inquadratura, perché quel volto e non quell’altro.

Quando è morto avevo solo 13 anni e fino ad allora ho vissuto molti momenti indimenticabili con lui. Mi portava spesso in giro e per me era sempre una festa, anche solo andare al bar a vederlo giocare a carte. Non vi dico l’emozione di svegliarsi all’alba per andare a caccia con lui. Pur rinnegando oggi tale pratica, non potrò mai non ricordare con rimpianto le infinite sigarette spente nell’attesa di sparare un colpo appostato in macchina nelle saline di Cervia o nascosto in un capanno tra i filari di una vigna del podere di Bondi.
E quando non era caccia era pesca, e allora la scena si spostava a Cesenatico, dove risiedevamo d’estate e di cui conosco ogni angolo sia della terra che del mare. La pesca di sgombri e cefali al largo, l’entrata trionfale in porto alla guida del motoscafo, le nuotate vicino agli scogli del canale per raccogliere le cozze, pure la ricerca dei vermi da esca era per me un’avventura straordinaria.
Anche quando lavorava lo seguivo spesso, scuola permettendo. E allora cambiavano scenari e gesti, ma non la mia curiosità e lo stupore nel vederlo scherzare con il soggetto da immortalare. Sembrava tutto un gioco per lui e lo faceva sembrare a me e io mi divertivo da matti. E tutte le volte mi chiedevo perché usasse quello strano strumento (l’esposimetro) prima di fotografare. Alla sera poi, in camera oscura, beh, vi rimando alla fine di queste pagine.

In molti mi chiedono perché non faccia il fotografo anch’io. Forse è semplicemente perché non lo voglio fare, o perché non voglio mettermi in competizione con lui. In realtà ritengo che le mie energie debbano essere spese per far conoscere al maggior numero di persone il suo lavoro, il suo intuito, il suo talento.
Per troppi anni c’è stato l’oblio sul suo nome in campo fotografico. Sfogliavo i libri, le riviste secializzate, le enciclopedie e mai un scatto di Giuseppe Palmas, mai una citazione.
Fortunatamente a qualcuno a Cesena, la sua città natale nonchè luogo dove vivo ora, è venuto in mente, un giorno, che sarebbe stato giusto rendere onore all’opera del concittadino dimenticato.
E così, dopo due anni di preparazione, nel 1995 ha visto la luce la mostra “Giuseppe Palmas – professione fotoreporter”, una personale con 200 foto divise i 4 sezioni, cinema, musica, sport, cronaca e costume, allestita nel pretigioso Corridoio Lapidario della Biblioteca Malatestiana di Cesena.

E’ stato l’anno zero della riscoperta postuma. L’anno successivo ho allestito il primo sito Internet con una quarantina di scatti e la pubblicazione integrale dell’elenco di tutti i soggetti fotografati (circa 4.500), mossa che ha scatenato gli accessi al sito grazie al lavoro dei motori di ricerca.
Piano piano l’ombra dell’oblio è stata spazzata via dal sole della tecnologia e le soddisfazioni si sono susseguite. Nel 2001 Ravenna ha ospitato la personale “Fotografi si nasce e... Giuseppe Palmas modestamente lo nacque” e il suo nome è stato utilizzato come testimonial per il lancio della filiale italiana del celebre sito di aste on-line eBay.
Nel 2003 le sue foto sono state esposte prima a Milano, nell'ambito del Photoshow, e poi a New York (mostra segnalata anche dal New York Times).
Nel 2004 una sua foto è stata scelta da Giampiero Mughini quale copertina del suo libro “Le ragazze di Via Margutta” e una decina di suoi scatti sono stati esposti a Palazzo Venezia a Roma durante la mostra “A Flash of Art Fotografi d'azione a Roma, 1953- 1973”, organizzata da Photology.
Nell'ottobre del 2005 le foto di Palmas sono state esposte nello showroom della Belfe a Milano. Nella 50° edizione della Guida Michelin Italia uscita all’inizio del 2006 hanno trovato spazio una cinquantina di suoi scatti. Diverse fotografie dell’artista cesenate sono state inserite nell’opera “Italia 1945-2005 - Le grandi fotografie della nostra storia”, uscita a fascioli in edicola per conto di Hachette.
La Città di Cesena, a celebrazione dei successi conseguiti e dopo aver replicato la mostra allestita a New York, gli ha intitolato un giardino pubblico nella zona di San Mauro in Valle che è stato inaugurato il 14 aprile 2007.

Impossibile citare tutte le collaborazioni e le pubblicazioni dal 1995 a oggi, ma certo non posso non ricordare quella più rilevante, ovvero il documentario “Meglio esser Chiari” andato in onda su Sky all’inizio del 2008. E' il racconto di un viaggio nel passato che il figlio di Walter Chiari, Simone Annichiarico, ha compiuto per ricordare il padre e al quale ho partecipato anche io, ricordando il mio. L'occasione è nata dopo che ho reso disponibili alla produzione diverse foto del celebre attore scattate dal padre negli anni '50.
Invece di citare la fonte delle immagini nei titoli di coda, l'autrice del programma Alessandra Galletta mi ha chiesto di partecipare direttamente al documentario attraverso una scena, girata in un albergo di Cervia, in cui dono a Simone alcune fotografie di suo padre scattate da mio padre. I due erano molto amici e l'attore spesso veniva a trovare mio padre nella nostra casa di Cesenatico durante l'estate.
Per me è stata un’esperienza memorabile. Penso veramente che sia stato qualcuno dall’alto che abbia voluto far incontrare due figli impegnati nello stesso sforzo: ricordare il padre “mito”.

La mia missione continua. Tanto è stato fatto e tanto di più rimane ancora da fare. Oggi il sito Internet fotopalmas.com è visitato da circa 4.000 persone al giorno. E sono visibili “solo” 6.400 fotografie delle 80.000 dell’archivio per cui il mio lavoro, svolto per lo più durante le ore notturne, non è certo concluso.
Voglio chiudere riportando la mia presentazione alla mostra del 1995, poche righe scritte di getto a cui sono molto affezionato e che sento attualissime.

“La Camera Oscura. Ecco uno dei miei primi ricordi d'infanzia. Era mio padre, Giuseppe Palmas, che mi voleva con sè mentre lavorava per ore, instancabile, in quella stanza buia dall'odore acre. Passava freneticamente i fogli dall'ingranditore alle vaschette con le soluzioni che rendevano possibile il miracolo. Già, perché a me sembrava proprio un miracolo quel foglio bianco che diventava immagine, quella stessa immagine che poche ore prima avevo avuto davanti agli occhi dal vero, durante l'ultimo servizio. Mio padre me lo ricordo così, appassionatamente immerso nel suo lavoro. E, a tanti anni dalla sua morte, mi ritrovo spesso a guardare le sue fotografie, le sue opere, rimanendo ogni volta incantato dalla capacità con cui sapeva cogliere l'attimo giusto, magari evidenziando la smorfia inconsueta della diva del momento. E i personaggi famosi da lui fotografati non erano solo l'oggetto del suo lavoro, ma diventavano spesso suoi amici, affascinati dal romagnolo verace dalla battuta sempre pronta. E così Fred Buscaglione, Claudio Villa, Walter Chiari, Giovannino Guareschi, Teddy Reno, Arnoldo Foà, Vittorio Bonicelli si facevano immortalare con facilità in molte occasioni, quasi desiderassero un album fotografico giornaliero. Ma la sua macchina fotografica era attenta anche all'uomo della strada, rispettandone sempre la dignità. L'inquadratura teneva conto di tutti i particolari con una qualità che ai miei occhi, ma anche agli occhi di tutti quelli che hanno visto il suo archivio, si è sempre rivelata di altissima fattura. Così oggi sento di dover portare a termine una missione, forse presuntuosa, quella di dare a Giuseppe Palmas un'aura di immortalità, quella immortalità propria degli artisti che continuano a vivere con le loro opere.”

Roberto Palmas

 

 

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